La pressione dell’effetto Brexit è sempre più pesante sul mercato dell’export e molti distributori anglosassoni hanno già iniziato a fare scorte di vini italiani per tutelarsi da una possibile crisi. Prestazioni in ascesa, quindi, ma la magia potrebbe durare poco.
Mala tempora currunt per il vino italiano e non. L’uscita della Gran Bretagna, tra i principali Paesi Target per il mercato dell’export italiano, dall’Unione Europea non è che una delle tre grandi criticità che gravano sul settore. A fare da eco è, da un lato, il sempre più diffuso allarme Coronavirus, che sta pesantemente gravando sul mercato asiatico, altro canale di riferimento delle cantine italiane e, dall’altro, quello della prossima applicazione di nuovi dazi sul vino d’importazione negli States promossa dal presidente Donald Trump.
In quest’ultimo caso il comparto enogastronomico italiano (o meglio, parte di esso) ha già lanciato diverse controffensive per ribadire l’importanza dei rapporti commerciali tra il Bel Paese e gli USA, specie per quanto riguarda la vendita di vino.
Tra queste, eventi a tema celebrati da ospiti illustri (come il Barolo & Barbaresco World Opening di New York, in compagnia del gruppo musicale Il Volo e dello chef stellato Massimo Bottura) e petizioni per scongiurare le nuove tassazioni a firma di migliaia di professionisti e operatori di settore e indotto provenienti da Stati Uniti e Paesi UE.
Purtroppo, per ciò che concerne le altre due criticità la possibilità di intervento è alquanto limitata. Per la Brexit, in particolare, ci si limita per ora a seguire quanto accada, dal momento che nessuno può prevedere gli effetti di una riforma tanto innovativa e imprevista e che, a differenza degli USA, la discussione sulle normative non riguarda un singolo entourage, come quello di Donald Trump, ma l’intera Unione Europea.
Cosa potrebbe accadere al vino italiano con la Brexit? Proviamo a vagliare qualche ipotesi.
Brexit: a che punto siamo?
Il solo approssimarsi del termine ultimo entro il quale il governo britannico dovrà consegnare le proprie dimissioni dall’UE ha scatenato una certa instabilità del mercato, con picchi di vendite di prodotti stranieri nel Paese. Un effetto chiaramente riconducibile al tentativo da parte degli importatori e di tutta la filiera coinvolta di approvvigionarsi in vista di periodi incerti.
Tra i vini italiani vola il Prosecco, con un +11% di vendite nel 2019. Un vino che non a caso, proprio nel Regno Unito, rappresenta ormai un emblema della tradizione enoica Made In Italy, sempre più apprezzato e richiesto.
L’incremento di vendite arriva praticamente in concomitanza con l’approvazione a Palazzo Buckingham dell’European Union Withdrawal Agreement Act, all’interno del quale sono inserite voci finalizzare a normare l’ingresso in UK di prodotti di importazione UE.
“A spaventare” – sottolineano gli esponenti della Coldiretti – “è il rischio che il prodotto possa risentire di un effetto barriera, costituito da nuove tariffe e difficoltà di sdoganamento che potrebbero insorgere dalla Brexit, con maggiore difficoltà per le consegne”
In ballo un mercato del valore di 3,4 miliardi di euro, che non riguarda esclusivamente il vino, ma anche prodotti agricoli e derivati, pasta, formaggi e olio evo. Per questo l’intera filiera agroalimentare dei due Paesi sta cercando di promuovere la stipula di un accordo tra l’Unione e il Regno Unito, che verosimilmente dovrebbe arrivare entro il 31 dicembre 2020.
Nel frattempo, l’unica speranza resta quella di una paventata “Soft Brexit”, che in sostanza non andrebbe a modificare in modo concreto gli accordi commerciali attualmente vigenti.
Quali sono i vini italiani più venduti in UK?
Oltre al Prosecco, citato in precedenza, a farla da padrone tra i top gamma è l’Amarone della Vapolicella, che da solo costituisce l’11% dei vini italiani di importazione in UK, a riprova che, al di là della varietà di vino, esista un sodalizio concreto tra i consumatori britannici e il territorio Veneto.
Tengono bene i bianchi fermi e tra i rossi con buon rapporto qualità – prezzo spicca il Montepulciano d’Abruzzo, che negli ultimi 5 anni ha guadagnato ottime posizioni nel canale della GDO. Esiste tuttavia un pericoloso fenomeno diffuso in Gran Bretagna, che l’effetto Brexit potrebbe incentivare: quello della vendita di falso Prosecco e vini italiani in generale, sfociato addirittura nella commercializzazione di kit per la produzione di finti Barolo o Valpolicella homemade.
Una recente indagine condotta da Nomisma Wine Monitor su un campione di 1.000 consumer inglesi (quindi non dell’intera Gran Bretagna) ha però evidenziato come solo il 24% degli acquirenti abituali di fine wine italiani (63% del campione totale) continuerebbe ad acquistarli se dopo la Brexit il prezzo degli stessi salisse appena del 10%. E questo solo a patto che la qualità del prodotto resti invariata o sia superiore.
Un dato che preoccupa, ovviamente, i produttori italiani, ma fondamentale nel comprendere che l’unica strategia per sopravvivere ad una possibile crisi di mercato sarà quella di puntare sulla qualità delle etichette in commercio, creando un discrimine tra questi e i prodotti discount.
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