Il caso – Europa, con l’impianto di nuovi vitigni in zone fino ad oggi impensabili e nuove strategie messe in atto per contrastare condizioni climatiche estreme, inizia a destare l’interesse non solo degli esperti di settore, ma anche della comunità scientifica internazionale. Dalla Spagna alla Francia, passando per l’Italia, i principali Paesi UE a vocazione vinicola hanno già iniziato a prendere seri provvedimenti per contrastare un fenomeno potenzialmente pericoloso per il mercato.
È un momento molto delicato per il settore vitivinicolo internazionale. Sono diversi e molto delicati gli sconvolgimenti che, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, hanno interessato il mercato del vino, gravando pesantemente su esso.
Dalla Brexit, i cui risvolti in termini commerciali potrebbero mettere a rischio uno dei principali canali export dei vini bianchi italiani (e non solo, visto il grande successo in UK dal Montepulciano d’Abruzzo), alla politiche riformiste del presidente americano Donald Trump, la cui proposta di tassare fino al 100% prodotti di importazione ha fatto sobbalzare rappresentanti di categoria in ogni Paese del mondo.
Ultimo, e assolutamente imprevisto, il caso Coronavirus, anche questo, purtroppo, scaturito in una delle Nazioni più interessanti per l’export di vino italiano, in special modo dei nostri rossi.
Insomma, non mancano sconvolgimenti e motivi di preoccupazione per gli stakeholder di settore, rassicurati tuttavia dall’impegno profuso dalle stesse aziende protagoniste del mercato e dai numerosi enti e associazioni di categoria per salvaguardare il più possibile il mercato dalle ripetute minacce piovutegli addosso.
Tra tutte, la maggiore e, allo stesso tempo, quella che nel marasma generale sembra fare meno rumore è forse la più delicata e inarrestabile: il cambiamento climatico. Il tema del riscaldamento globale è entrato pesantemente nel dibattito pubblico nel corso dello scorso anno, con temi che hanno interessato i vertici delle più grandi potenze mondiali fino ad una nutrita fetta di popolazione globale.
Il cambiamento climatico non è un’opinione. La sua irreversibilità sembra ormai inevitabile, dal momento che, secondo i principali studi della comunità scientifica internazionale, è stato ormai ampiamente superato il tempo massimo entro il quale ridurre drasticamente la soglia delle emissioni, che sono invece aumentate. Uno sconvolgimento ormai sotto gli occhi di tutti che, tra gli altri, interessa in particolar modo il settore agricolo e che proprio all’interno di questo ha iniziato a dettare i primi sostanziali sconvolgimenti.
Vino e riscaldamento globale: maggiori investimenti nei Paesi Scandinavi
Una recente inchiesta del New York Times avrebbe evidenziato il proliferare in nord Europa di aziende vitivinicole, anche in zone non storicamente legate alla produzione di vino. Un effetto, secondo la rivista, dettato specialmente dall’innalzamento delle temperature, che hanno permesso l’avvio della produzione in quei territori dove sino ad oggi non era possibile.
Solo una decina di anni fa, in Danimarca erano praticamente inesistenti i terreni vitati. Ad oggi, una piccola percentuale di vino prodotta in 90 appezzamenti del Paese ha destato un minimo, ma assolutamente legittimo, interesse da parte degli esperti del settore. A questi si aggiungono gli appena 40 terreni vitati in Svezia, situati al confine tra questa e la Norvegia.
Niente in confronto ai circa 10 milioni di terreni presenti nel resto d’Europa, ma un segnale sicuramente interessante, tenendo conto che l’intera Danimarca conta appena 5 milioni di abitanti.
È lo stesso Hans Münter, responsabile della Danish Wine Association che, conscio dei limiti in termine di produzione del Paese, ha recentemente dichiarato quanto “In questo momento non abbiamo il volume per valutare se la produzione di vino sia effettivamente un buon affare per i Paesi Scandinavi. Ma i numeri restano incoraggianti e siamo certi che nei prossimi 50 anni Danimarca, Svezia e Norvegia godranno di una temperatura molto simile a quella dell’attuale Francia del Nord. Per questo è un mercato che possiamo seriamente prendere in considerazione e che per il momento ci limitiamo a monitorare.”
Parole alle quali fanno eco quelle di Moesgaard, fondatore del progetto Skaersogaard Vin, che ha confermato come l’innalzamento delle temperature sia, in un certo senso, dalla loro parte e che per i Paesi Scandinavi sia necessario riprogettare l’intero comparto agricolo, aprendo a coltivazioni fino ad oggi impensabili.
Cambiamento climatico e vino: cosa succede in Italia
In realtà, la questione principale non risiede tanto nell’incremento delle temperature. O meglio, non solo. Per i viticoltori, così come per il resto dell’industria agroalimentare, lo sconvolgimento alla base del cambiamento climatico resta l’imprevidibilità stagionale, ovvero i picchi drastici e repentini di temperature all’interno della stessa stagione, in grado di creare ingenti danni ai raccolti.
Ed è proprio su questo aspetto che si concentra al momento la ricerca agronoma, specie in quei Paesi a maggiore vocazione vitivinicola. Dalle strategie salva-uva dei vignerons nello Champagne, finalizzate a contrastare condizioni climatiche estreme, a Montefalco, nel cuore verde dell’Umbria, dove Alberto Pardi, titolare dell’azienda Cantina Fratelli Pardi, iniziato a sperimentare, in collaborazione con l’Università, lo sviluppo di una strategia orientata ad ottimizzare la gestione delle risorse idriche, sia nelle lavorazioni di cantina che nei trattamenti in vigna.
Alto Adige e Trentino puntano su vini d’altitudine, spingendo la viticoltura oltre gli 800 mt/slm. Un trend cavalcato in un certo senso anche da altri territori italiani, dove ha iniziato a prendere sempre più piede l’impianto di vitigni in quota e il loro dislocamento in zone d’ombra.
Il cambiamento climatico, infine, ha anche effetti sullo stile del vino e sulle sue caratteristiche. A confermarlo Daniele Accordini, enologo della Cantina Valpolicella Negrar, secondo il quale proprio Valpolicella e Amarone “sono riusciti ad adattarsi molto bene al nuovo clima, dettando nuove espressioni territoriali”.
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