L’avanzamento procedurale che determinerà l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea spaventa stake-holder e operatori di settore di tutta Europa. Quali scenari si aprono per l’export di vino italiano nel Regno Unito?
Tempi duri per il comparto agroalimentare italiano, o sarebbe meglio dire “incerti”. Dopo la minaccia di rincaro dei dazi per i vini europei paventata dal presidente americano Donald Trump, un nuovo spettro si aggira per l’Europa: quello della Brexit. In merito all’uscita del Regno Unito dall’Europa sappiamo due cose:
- è questione di tempo, ma è cosa sicura, perlomeno per l’Inghilterra;
- condizionerà pesante l’andamento dei mercati, anche se nessuno può sapere come.
Per i vini italiani, e più in generale per tutto il settore agroalimentare del Bel Paese, la questione è sapere se il Governo sarà in grado di siglare un accordo con il parlamento britannico atto a garantire un patto “no deal”, ovvero senza dazi, che in caso contrario potrebbero rincarare anche del +35%, influendo pesantemente sulle vendite dei prodotti.
Altra possibile ancora di salvezza potrebbe essere la decisione della presidenza britannica di ripiegare su quella che è stata definita “soft Brexit”, ossia un’uscita dall’Euro più formale, atta a preservare quanto più possibile i rapporti commerciali con gli stati membri. Una proposta attualmente al vaglio della Commissione Europa, che potrebbe decidere di accettarla o rigettarla, a seconda dei casi.
Certo è che il colpo di testa del Regno Unito non ha giovato finanziariamente né a se stesso né al resto d’Europa. L’incombere della Brexit ha già iniziato a far sentire una certa pressione sugli stake-holder italiani, che hanno iniziato a guardarsi attorno per iniziare a capire come aggiustare il tiro su altri Paesi Target, qualora la situazione UK dovesse precipitare.
Un vero peccato, se si pensa che, proprio il Regno Unito, dopo USA e Germania, rappresenta il terzo Paese per importazione di prodotti agroalimentari italiani, con un giro d’affari stimato per valore a 3 miliardi di euro.
Numeri del vino italiano: prestazioni nel Regno Unito e effetti pre-brexit
Negli ultimi anni, i numeri del vino italiano nel Regno Unito sono stati caratterizzati da un interessante incremento, sia in termini di esportazioni che di valore stimato. Oltre a rossi, come l’Amarone della Valpolicella, le cui vendite nel Regno Unito rappresentano un considerevole 11% del totale, e il Montepulciano d’Abruzzo, hanno iniziato a guadagnare terreno i bianchi fermi e il prosecco.
Un trend che ha iniziato a decelerare nel 2019, proprio quando l’ingerenza della Brexit ha iniziato a montare sui mezzi di informazione di settore in modo sempre più massificato.
Non è un caso, infatti, se proprio nel 2019, sempre secondo Nomisma, i vini italiani in UK abbiano perso quasi 3 punti in percentuale, lasciando avanzare pesantemente quelli francesi (champagne su tutti) di un considerevole 16,8%.
Un successo che potrebbe durare poco, aspetto che, giustamente, preoccupa il governo britannico e numerose associazioni, enti e aziende di settore, già all’opera per tentare di trovare soluzioni.
Le uniche strategie al momento ipotizzate riguardano la possibile sospensione di alcuni documenti necessari all’esportazione. In sostanza, se UK e Europa non dovessero trovare un accordo, il Regno Unito potrebbe decidere di non richiedere il modello VI-1 per un periodo di nove mesi, semplificando in questo modo l’ingresso di alcolici provenienti da altri Paesi.
Brexit e vino italiano: puntare tutto sulla qualità?
A correre ai ripari, tuttavia, sono anche gli operatori di settore italiani. Wine Monitor ha recentemente condotto un’intervista su un campione di 1.000 consumatori britannici di vino italiano tra i 18 e i 65 anni. Dalla ricerca è emerso sostanzialmente che se il prezzo delle etichette Made In Italy salisse del 10% solo il 24% degli intervistati continuerebbe a consumarlo, a patto che la qualità rimanga alta.
Una prerogativa, però, maggiormente riconducibile ai vini francesi, meglio posizionati sui canali di lusso rispetto a quelli italiani, più orientati invece sulla GDO.
Cambiare trend è possibile? Margine di investimento in questo senso c’è, ma è ancora troppo poco. Il 63% degli intervistati da Wine Monitor ammette di non consumare fine wine italiani, ma sarebbe disposto a farlo. Su 350 ristoranti londinesi analizzati, inoltre, è mediante sempre presente nelle carte dei vini un’etichetta italiana sopra le 50 sterline.
Eppure, i fine wine, dal prezzo attestato sopra le 35 sterline a bottiglia, costituiscono appena il 16% delle referenze italiane presenti in UK, come Barolo, Brunello di Montalcino, Amarone e Chianti Classico, a dispetto del 57% di quelle francesi (ma anche del 6% di quelle spagnole).
Investire su questo mercato significa migliorare lo storytelling legato a questi prodotti, spesso legato a territori di produzione già noti all’estero per il loro prestigio. Altro aspetto fondamentale è quello dell’organizzazione di degustazioni, una strategia che incide simultaneamente sul mercato HoReCa e Consumer, con ottimi risultati in termini economici e di immagine.
Infine, il consolidamento di un’efficace strategia web, in grado di coadiuvare dal basso il mercato dei vini italiani garantendone maggiore stabilità, supportato dalla vendita e-commerce dei prodotti.
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